Da Capricchia al Pizzo di Moscio toccando il Pelone meridionale


E quella che Luca nella sua agonistica fantasia ha chiamato “la trilogia” si chiude sul Pizzo di Moscio. Dopo le 100 di Giorgio, dopo le 200 di Luca ora toccava a me festeggiare e raggiungere, finalmente aggiungo io, il traguardo. Due vette mancavano per toccare tutte le vette dell’intera catena della Laga, e due vette mancavano a raggiungere il traguardo delle 200. Il Pelone meridionale ed il Moscio erano lì che aspettavano da tempo; mancati poco più di un mese fa per un progetto ingordo malamente programmato si offrivano per chiudere la mia rincorsa, il traguardo parziale, con il Club 2000 e con la nostra sfrenata passione per la montagna. Da Ceppo è la partenza naturale per il Moscio, ma è troppo lontano per essere raggiunto da Roma; da San Martino avevo pensato di iniziare per rendere il percorso un po’ più originale ma sono stato messo sull’avviso dello stare per compiere una sorta di follia da Marina che aveva intenzione di aggiungersi a noi e che conosceva bene questi monti; molto dislivello, troppo, ed una lunghezza infinita il sentiero. Il Sacro Cuore da Capricchia; da dove vuoi partire sennò? Ed il Sacro Cuore è stato. Tutti a far colazione ad uno dei pochi bar aperti nella sonnacchiosa Amatrice, il tempo di scambiarci i saluti con chi non si vedeva da tanto tempo e tutti insieme a correre lungo i tornanti che conducevano al Sacro Cuore. Il primo freddo della stagione metteva le ali ai piedi, il sentiero comodo e morbido di un autunnale tappeto mettevano voglia di filare via silenziosi. A molti il tracciato era conosciuto, quasi subito, dopo nemmeno un chilometro dalla partenza, dopo il bivio per il sentiero che conduce alla cascata delle Barche, pendiamo a destra; entriamo decisamente all’interno di un bosco fitto, quello di Selva Grande. Lo percorriamo per circa un chilometro, a sinistra si apre il profondo canyon, a tratti lo spettacolo delle rocce stratificate è magistrale, il fondo lo si percepisce ma non lo si vede. In primavera è sede di diverse bellissime cascate, se si scendesse in qualche maniera si incontrerebbe la sorgente di Piani Fonte. Un chilometro circa, e ci lasciamo sfilare, sulla destra il sentiero che sale ripidissimo verso il Gorzano,. Ormai le nostre mete sono a vista, oltre il profondo fosso le coste ripide salgono verso le pendici del Lepri. Sarà poi davvero il Lepri? Credo che Luca e Marina si debbano ancora accordare. Il resto del gruppo silenzioso (mica tanto) alla disputa attendono ancora caffè ed aperitivi in palio. Prima o poi decideranno, prima o poi arriveranno le bevute. Lentamente saliamo, l’orizzonte si apre; la forra sottostante si fa stretta e profonda. Le creste dal Lepri al Pelone convergono sulla scavata conca che si chiude sull’omonima sella delle Solagne e la Laga diventa la Laga che tutti conosciamo. Priva ancora di acqua ma piena di fossi, di rocce scavate, di salti ed ampi pratoni scoscesi. Il sentiero sale ancora lento sempre ben segnalato dai segnavia bianco rossi dipinti sulle rocce e dove queste mancano per via dei pratoni foltissimi, su utili paletti all’uopo disposti. La traccia è evidente. Fiancheggia prima le basse pendici del Gorzano, si distacca, proseguendo diritto, dal sentiero ripido che porta alla sua vetta e dopo una sella ulteriore si infila senza tregua all’interno del vallone delle Solagne. Dopo tanto salire fino ai 1740 di una sella ventosa e per questo fastidiosamente fredda il sentiero precipita all’interno della valle. Senza nemmeno tanti tornanti si inabissa all’interno del vallone, perde quota, entra in una zona d’ombra e le montagne si rialzano ancora rispetto a noi. Tocchiamo il fondo della valle contornati da fossi che scendono dal versante sud del Pelone e del Gorzano; il fosso della Pacina, quello del Pelone, sono lingue di roccia stratificata che segano e curvano i ripidi crinali erbosi; fili argentati lucenti segnano una minima presenza d’acqua, ampi lastroni imbiancati ne dichiarano lo stato pressoche ghiacciato. I primi spettacoli del generale inverno. Ancora una volta, per l’ennesima volta rimpiangiamo la perseveranza che ci contraddistingue nel frequentare la Laga sempre fuori dalle sue stagioni migliori. Rimandiamo l’appuntamento alla primavera prossima, questa volta è un giuramento. Superato il punto più basso della valle, superato il fosso delle Solagne il sentiero si tiene a nord del suo limite valicabile. Ripido, in mezzo a prati ancora rigogliosi seppur ormai bruciati dal freddo, per ampi tornanti sale faticoso verso la sella. Le creste sono più vicine, sono sopra di noi segno che ci stiamo alzando ancora e di nuovo velocemente. Il Gorzano, a sud ed in controluce è un bianco fantasma, il suo lato nord è spolverato di bianco, si è ormai cambiato d’abito ed è pronto per le imminenti copiose nevicate. Salendo il vento ritorna a farsi sentire, pungente, freddo e fastidioso. Sparpagliati ormai, la solita lunga fila, I più veloci sono sulla sella delle Solagne sbattuti e ammutoliti da un vento insospettabilmente freddo e teso; i più lenti seguono di pochi minuti. Coprirsi è d’obbligo, i gusci invernali tornano a sventolare come bandiere prima di avvolgere corpi ormai intorpiditi dal freddo. Lo spettacolo è sublime; sulla catena del Gran Sasso spolverata dalle ultime nevicate, sulla dorsale della Laga che sale al Gorzano da una parte e al Moscio fino al Lepri e più giù fino a Macera della Morte dall’altra. In fondo, inconfondibile, la cicatrice che ogni montanaro si porta dentro, lo sfregio sinistro sul fianco della Sibilla. Verso est, la sotto, sembra di toccarli …. questa volta Luca non chiede, forse ha ormai capito trattarsi dei monti Gemelli. Qualche foto, qualche commento bloccato in gola dal freddo e si fila più che mai veloci verso il Pelone meridionale. Una, due , tre gobbe fino a raggiungere il secondo ometto, carte e gps, aggiungerei anche la voglia di scappare dal quel clima inclemente, tutto concorda che la prima delle due vette è stata raggiunta; qualche foto, quelle indispensabili per testimoniare che uomo ha toccato la cima e il ritorno assume i connotati di una ritirata. Tutti curvi sotto le sferzate del vento gelido convergiamo all’interno di una dolina carsica profonda. Il vento si placa, la sorvola, il sole fa il resto, torniamo a distendere i nostri muscoli e a respirare . Ci guardiamo tra noi e guardiamo la cresta espostissima, pensiamo, e lunga che sale al Moscio; forse tutti hanno pensato la stessa cosa e tutti si sono stretti nelle spalle pensano all’esposizione maggiore di quella vetta rispetto a quella appena toccata. Ma eravamo li per un motivo, non ci sarebbero state prove di appello; d’altra parte non era la prima volta per nessuno che si subiva un vento così freddo e alla fine senza un’ordine preciso ma tutti mossi dalla stessa brama di sudare e sentire caldo abbiamo assalito lo spigolo sud del Moscio. La pendenza notevole dello spigolo ma anche la piacevole sorpresa di un vento meno teso e meno freddo sul quel lato della cresta hanno affievolito le velleità. A parte i soliti Maurizio e Augusto apripista instancabili che erano già in vetta quando i ritardatari erano ancora a poco più di metà costa, tutti hanno rallentato. Già, tutti hanno rallentato, tutti tranne i due lassù. Ma solo dopo ho capito il perché; tutti hanno voluto accompagnarmi nell’ultimo tratto del mio duecentesimo 2000 e loro lassù non hanno voluto perdere un solo attimo di quel momento a me topico. E mi sono sentito sospinto, sollevato, accompagnato. Gli ultimi cinquanta metri, seppur ripidi, non sono esistiti, non sono mai esistiti; sparito l’affanno, sparito il vento, il freddo, la fatica ed i pensieri; è stato bello superarli cercando gli occhi dei miei compagni, abbracciarli uno ad uno prima di sigillare sulla croce il mio traguardo; Luca che mi ha incoraggiato nei momenti più difficili, Marco in cui ho ritrovato la mia primordiale passione, Augusto e Maurizio da poco con noi eppure così vicini nello spirito del gruppo, Marina alla sua prima con noi e che ha voluto esserci dopo aver apprezzato, sulla Vetta orientale, il nostro modo di andare in montagna e Giacomo esempio per tutti, fenomenale, instancabile, affettuoso ragazzo del ’54. La rincorsa al secondo traguardo finiva sul Moscio; le 200 vette che sancivano e premiavano le tante alzatacce e le meravigliose giornate condivise con i miei amici finalmente si erano concretizzate. Sul Pizzo di Moscio, sulla Laga, la stessa catena che mi ha visto toccare il primo traguardo delle 100 vette raggiunte, il 7 Dicembre di tre anni addietro, sul poco lontano Monte di Mezzo di Campotosto. Il tempo di assaporare le emozioni, di issare la bandiera del gruppo alla croce e lasciarla sventolare impazzita al vento che la festa organizzata a mia insaputa, dai miei compagni, ha avuto inizio. Poco sotto la croce, sul versante nord al riparo dal vento sono uscite bottiglie di champagne, una torta di noci con tanto di candeline a formare il 200, non c’è stato davvero bisogno di spegnerle, perché impossibile sarebbe stato il solo pensiero di accenderle; birre artigianali di ottima fattura, panini, biscotti e forse chissà che altro. Insomma è stata festa, la mia, la loro, quella dei miei amici in cui ho ritrovato tutta la mia felicità e la soddisfazione che chissà per quale motivo sentivo repressa. Grazie ragazzi, mi ci avete davvero portato sul Moscio. Un sacco di foto a testimoniare il momento, una bottiglia di spumante italiano, marchigiano voglio sottolineare, completamente spruzzata alla bandiera, alla croce e al vento e la resa alla bassa temperatura si è manifestata. Un ritiro frettoloso di tutta la nostra merce e rifiuti, un saluto veloce ed emozionato alla vetta a me ormai per sempre cara ed indissolubile e la volata verso la discesa è stata velocissima. Non prima di una foto doverosa ai miei Sibillini, da li splendidi e importanti. A ritroso sulle stesse orme della salita; questa volta il vento a frenare, a prenderci a schiaffi finche non abbiamo riguadagnato il vallone delle Solagne. Un minimo di fatica per ritrovare il sentiero, poca cosa, e poi via veloci e questa volta con il sole a darci ristoro. Il vento era rimasto lassù, inghiottiti dalle montagne, dentro la valle il sole scaldava, ben presto ci siamo dovuti alleggerire. Giacomo ha non ha resistito e al primo fosso ormai rumoreggiante per l’acqua che aveva ripreso a scorrere, munito di bicchiere del precedente brindisi si è tolto la soddisfazione di bere direttamente dalla fonte; procurandosi però anche un bello ma innocuo scivolone sulle rocce in parte ancora subdolamente ricoperte di piccoli strati di ghiaccio. Dentro il fosso della Solagna a scendere repentinamente, poi la salita altrettanto ripida e faticosa dopo tanto camminare, la sella, il bosco, le creste sempre presenti e solo l’azzurro del cielo, il calore della luce del pomeriggio a suggellare che era passata una giornata. Nessun indugio sui passi di ritorno; filati come treni senza fermate intermedie. Solo sulle selle qualche indugio per abbandonarsi alla profondità dei toni caldi della Laga. L’ultimo tratto, avvolti da una luce calda del tramonto che filtrava tra i rami del bosco , scivolavamo silenziosi sul manto di foglie cadute e non c’era voglia di parlare; l’aria intorno a noi sembrava colorata del color ruggine delle foglie cadute a terra; la felicità di ritornare alle comodità della vita in qual momento e come sempre in quei frangenti, si scontrava con la consapevolezza di lasciare il cuore indietro. Eravamo al parcheggio, diciotto chilometri percorsi per un totale di milleseicento metri di dislivello superati ma non era finita. Ci aspettava un brindisi per festeggiare il raggiungimento di quella che Luca ha voluto chiamare “trilogia”. In un bar ad Amatrice, tra la gente che in qualche maniera cercava di far passare la domenica abbiamo suggellato amicizia e traguardi raggiunti e seminato per quelli futuri. Anche chi non c’era era con noi ed allora …..avanti col gioco dei 2000 metri! Forza Marco le 100 ti aspettano, Giorgio ormai devi puntare alle 200 , sono lontane ma Luca insegna, basta volerlo; Mauro per te le 200 sono ad un passo, Augusto, Maurizio, cominciate a contare, Giacomo stai filando come un treno, mica puoi farti surclassare così dal figlio? E a proposito di figli, Simone, forza, prendi esempio da tuo padre; Luca, beh, te quanto ci metterai a completare la scalata ? “Quelli di Aria Sottile” hanno appena iniziato ad esserci e con l’aiuto di tutti, Pino, Riccardo, Filippo, Fernando Mr Fix , lo sapete, voi ci dovete trascinare, e Fernando, e poi Max, Oracolo ed Elena, Diego, Marina e Annamaria, Marco e quanti anche per una sola volta ci hanno onorato della loro presenza , saremo sempre più presenti, più amici, più felici di cavalcare i nostri meravigliosi Appennini. Siamo un progetto ragazzi, un bellissimo progetto; a noi saperlo custodire ed alimentare. “QUELLI DI ARIA SOTTILE”